Brand Naming...per chi non lo sapesse...
Il naming rappresenta l’insieme delle decisioni relative alla definizione del nome della marca.
Le strategie di brand naming si avvalgono di tre diverse discipline:» il marketing, secondo il quale il nome definisce, insieme agli altri elementi del marketing mix, l’identità della marca e, pertanto, deve essere coerente con la mission aziendale, con le caratteristiche del settore, con il posizionamento del prodotto e con i caratteri del target di riferimento; » la semiotica, che fornisce le chiavi di lettura che consentono di attribuire un senso (culturale, sociale e in certi casi simbolico o mitico) al prodotto in modo ordinato, strutturato, interpretabile e attraente;» il diritto industriale, che permette l’autenticazione del prodotto e, attraverso la registrazione del marchio, la difendibilità sul piano legale del nome nell’ambito della categoria merceologica di riferimento.
Il nome svolge importanti funzioni di identificazione e di differenziazione del prodotto, di evocazione, poiché sviluppa associazioni, analogie e atmosfere indipendenti dalle qualità intrinseche del prodotto, e di protezione, in quanto il nome registrato protegge l’identità del prodotto impedendo ad altri di copiarlo.
Come ha sottolineato Bèatrice Ferrari, Brand naming consultant – nel suo intervento al seminario ‘La parola alle imprese’, tenutosi presso l’Università Cattolica di Piacenza – un nome per essere efficace deve possedere, oltre chiaramente alla disponibilità sul piano legale, le seguenti caratteristiche:» facile riconoscibilità e memorizzazione;» facile pronunciabilità; » coerenza con le caratteristiche del prodotto; » originalità negli elementi grafici e concettuali, per conferire un posizionamento distintivo al prodotto;» duttilità, per consentire la facile riproducibilità e l’adattabilità a ogni supporto;» flessibilità, per permettere alla marca di evolversi, evitando di assegnargli un posizionamento troppo rigido.
Con riferimento in particolare alla caratteristica della flessibilità, occorre evitare di contestualizzare troppo il nome di marca in relazione: » ai caratteri di uno specifico prodotto, rendendo così difficile un eventuale ampliamento della linea; per esempio, per nomi attinenti all’uso del prodotto e alla sua efficacia come Perlana oppure alla sostanza o a qualche componente del prodotto come Mentos diventa difficile far percepire ai consumatori un’espansione della linea se non attraverso ingenti investimenti in comunicazione; » a un’epoca storica; per esempio, negli ultimi anni sulla scia della moda del momento sono stati creati molti nomi simili usando il suffisso X, come Xperience, Xbox, Xfiles...» a uno spazio geografico per non limitare le possibilità di un ampliamento geografico della distribuzione. Nell’ambito delle strategie di globalizzazione possono essere adottate, inoltre, diverse strategie di naming: » nomi diversi in ogni mercato di esportazione, che richiamano però tutti la stessa promessa di base; un’impresa che adotta questa strategia, che si caratterizza evidentemente per un’elevata complessità gestionale, è Unilever, che ha denominato il suo ammorbidente in Germania Kuschelweich (termine che in tedesco significa morbido), in Francia Cajoline, in Italia Coccolino, in Belgio e in Olanda Robijn, in Danimarca Bamseline, in Spagna Mimosin, in Turchia Yumos, negli Stati Uniti Snuggle, in Brasile Fofo, in Giappone Fafa, in Australia Huggie; il prodotto, pur essendo commercializzato con nomi diversi, presenta la stessa identità di marca e lo stesso posizionamento in tutti i Paesi, simbolizzato dall’orsetto che trasmette le connotazioni di qualità, sofficità, tenerezza; » un nome di linea specifico per l’estero, uguale in tutti i mercati di esportazione; per esempio, Mulino Bianco Barilla ha adottato in ogni paese estero il nome Passioni Italiane;» uno stesso nome o marchio in ogni Paese; questa strategia è comune a molte marche globali di grande capacità evocativa, come, per citare un caso italiano, Baci Perugina.
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