Un capitolo dal libro “Note” di Lorenzo Marini
Omaggio al bianco, che è silenzio, che è neve.
“Senza illusioni, l’umanità morirebbe di disperazione o di noia”.
Anatole France
Strana contraddizione: il colore bianco è la somma di tutti i colori eppure la sua percezione è collegata all’assenza. Perché è elegante come il silenzio, perché è l’attesa dell’inchiostro su un foglio di carta o l’attesa del colore su una tela da dipingere. Herman Melville in Moby Dick lo definisce “un incolore ateismo di tutti i colori”. Eppure il bianco è una scelta forte, radicale, senza compromessi.
Il senso del colore tradizionalmente inteso si arresta di fronte al bianco, stimolo permanente verso la spiritualizzazione dei sensi. E’ lo zero tra i numeri algebrici, astrazione illuminata senza la quale nessuna operazione è possibile.
Tra gli irriducibili del monocromatico è secondo solo al nero, ma da quest’ultimo si differenzia per il senso collettivamente percepito come assenza. Il nero è apparente e neutrale, il bianco sostanziale e invisibile. Il nero riempie, il bianco svuota.
Scrive Kandinskij sul nero: “Come un nulla senza possibilità, come un silenzio eterno senza avvenire”. E Renata Molho sul bianco nel design e nella moda: “Se qualsiasi altro colore è un’affermazione, il bianco è la somma delle risposte possibili”.
Il bianco è la certezza della leggibilità, la luminosità dietro gli oggetti. E’ la sorpresa di un incontro che crea nuove emozioni, spolvera le sensazioni addormentate, rigenera ricordi atrofizzati. Come scoprire una nuova sfumatura nell'arcobaleno che conosciamo da sempre. Lì, in quel punto sorprendente e certo, sta la sorpresa. Lì sta tutto il mondo dell'incontro. Tra il tempo della nostra vita e lo spazio di un attimo.
Un incontro profondo è diverso da quelli superficiali perché rimane per sempre, incide la memoria, graffia il calendario della vita, rimane indelebile nello sfuocarsi progressivo delle emozioni.
Comunque inizia presto, che uno non è mai preparato, da bambino. E arriva inaspettato, che uno vorrebbe poter fissare gli appuntamenti col destino. Si potrebbe dire, volendo, che un incontro arriva a tradimento. Una deviazione della trama, un salto della logica. E bello. Bellissimo. Come se le stelle apparissero di giorno o le rose volassero assieme al vento o le nuvole si innamorassero degli zuccheri filati al parco giochi del pianeta. Cose così. Gli incontri. Di quelli degli altri so poco, conosco quasi niente, non sono nemmeno curioso. Quindi parlerò del mio.
Avevo una manciata di anni, non uno di più. E quella sera sentivo i rumori del mondo. Provate ad immaginare di amplificare le vostre sensazioni e di ascoltare i suoni non solo della vostra camera, ma di tutta la casa. Non solo della vostra casa ma di tutta la via. Non solo di tutta la via ma di tutto il quartiere. Compresi gatti, motorini, televisioni accese, discorsi, respiri, musiche, rubinetti che perdono, cascate d’acqua di giardini zen, risate, videoregistratori che trasmettono turnè di attori italiani. Non solo di tutto il quartiere, ma di tutta la città. Anzi, amplificate i suoni e metteteci dentro la provincia, la regione, la nazione, il continente, gli oceani. E dunque milioni di suoni aggiunti, note di onde, di scogli, di aerei, di navi, di piogge, di treni, di deserti, di fabbriche che non chiudono mai, di cancelli automatici, di passaggi a livello, di fornai che bestemmiano, di macellai che pregano, di preti che si sconfessano, di cantanti con il motivo che sta per scoppiargli dentro, di amanti che si graffiano i loro rispettivi destini. Insomma un rumore che non vi dico, la somma algebrica di tutti i suoni del mondo che produce un risultato insopportabile. Intollerabile. Assurdo. Il punto è che gli angeli ci sentono benissimo. E quando il mondo dorme loro ritornano al loro lavoro, che è quello di cantare. Cantare presuppone le note e le note presuppongono il rigo e il rigo presuppone il silenzio. Cantare sta al silenzio come vivere sta al battito cardiaco e amare sta alle lacrime. E’ una condizione sine qua non, questa. E’ una legge cosmica.
Gli angeli cantano solo nel silenzio perfetto del cielo, poiché cercano l’armonia universale. E quella notte il pianeta era veramente rumoroso. Insopportabile. Il ronzio disarmonico dell’umanità.
Così, ci fu una riunione celeste.
-Bisognerebbe farli smettere.
-Già.
-Siamo troppo pazienti con gli uomini.
-Ricordati che lo sei stato anche tu.
-Sì, ma questi qui esagerano.
-Sentite che chiasso infernale.
-Come potremo mai raggiungere il canto perfetto se il rumore
è così assordante?
-Come potranno mai capirsi gli uomini se continuano sempre a parlare?
-E quando si ascoltano?
-Anche al cellulare, vedete, parlano tutti.
-Nessuno ascolta nessuno.
-Dovremmo inventare qualcosa.
-Qualcosa di celeste.
-Il silenzio. Dovremmo far cadere giù dal cielo il silenzio.
-Sì, ma tutto nel mondo è forma concreta, materia. Che forma può avere il silenzio?
-E come può cadere senza far rumore?
Così dicendo gli angeli si riunirono e lavorarono tutta la notte. Prima dell’alba presentarono a Dio la loro invenzione. E fu subito neve.
Eccomi lì, davanti alla finestra di casa, incantato dal bianco. Cadevano fiocchi immensi, leggeri, spensierati. Non c’era nessun rumore, né moto né macchine né passi. Tutto era attutito, ovattato, morbido. E bianco. Bianchissimo. Candido. Sembrava venire da un altro mondo. Quello che noi chiamiamo neve, gli angeli lo chiamano silenzio.
E’ stato un incontro magico. Me lo ricordo sempre, il bianco, quando sento un rumore grigio.
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